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…ho scelto di esporre solo lavori in legno; un materiale che meglio è in grado di far vivere insieme la solidità della ragione e la fluidità delle emozioni.
Le mie sagome sono accompagnate dalle venature delle varie essenze di legno che ho voluto utilizzare, che conservano al loro interno la memoria delle stagioni in cui gli alberi sono vissuti.
Un racconto di sentimenti negli angoli e nelle curve della mia immaginazione che il legno mi aiuta ad esprimere, che nasce dalla mia voglia di intagliare, levigare, incastrare, modellare, narrare…i pensieri e la passione che mi attraggono e accompagnano…
Ernesto Maria Ruffini
SE FOSSE FUOCO … di Stefano Elena
“E’ bello ciò che nasce dalla necessità interiore.
E’ bello ciò che è interiormente bello.” 1
Dare forma a una sensazione è impresa ardua.
Tuttavia questa tentazione ricorre costantemente tra le attività praticate dal genere umano, convinto di poter sempre inquadrare tutto, anche le emozioni più intense, e fare chiarezza sulle cose attraverso processi logici che dovrebbero rispondere ai mille dubbi della vita.
“Pensa con i sensi-Senti con la mente” è il titolo che il critico-curatore americano Robert Storr ha dato all’ultima edizione della Biennale di Venezia. Un titolo che calza a pennello per descrivere non tanto le opere di Ernesto Maria Ruffini, quanto piuttosto il processo mentale sotteso dietro la loro creazione. Una personalità logica, quella dell’artista, che sintetizza - attraverso forme sinuose e sfuggenti, in procinto di dileguarsi e dissolversi dal reticolo geometrico da cui sembrano nascere - la perenne convivenza nella mente e nell’animo umano di sogno e realtà.
Opere materiche fatte di legno, espedienti per forme e figure ritagliate e composte come vere e proprie partiture musicali, come se l’immagine del suono si confondesse, in un abbraccio sensuale, con la sensazione tattile che riesce a parlare poeticamente e senza parole. Una musica silenziosa legata a visioni memori di una femminilità che racconta di una bellezza che può essere ascoltata come una melodia e allo stesso tempo vissuta come la carne.
La figura femminile – da sempre oggetto e soggetto dell’arte – nell'iconografia antica risulta essere prevalentemente associata all'idea di fecondità, di bellezza e natura; anche quando la scultura la mostrava nuda, gli artisti sapevano evidenziare aspetti della sensualità che erano strettamente connessi ad una funzione religiosa. In tale senso ella era protagonista della vita, mediatrice tra la dimensione profana e quella spirituale, poiché sacralizzava persino la prostituzione come esperienza 'unica' a vantaggio della collettività, così come Erodoto tramanda.
Similmente, la femminilità è protagonista morbida del sogno a occhi aperti di Ruffini; è colei che permette alle due entità (carne e spirito) sospese nel mondo onirico dell’artista di dialogare tra loro, riportando così in superficie la profondità (abilità notoriamente riconosciuta ai greci da Nietzsche).
L’aspetto di queste figure - sapientemente create dalla mano dell’artista e inevitabilmente evocatrici degli abitanti senza volto dei paesaggi metafisici di De Chirico - veicola, nonostante l’indefinitezza e l’evanescenza dell’immagine, una sensazione pacificatrice e tutt’altro che straniante.
Ernesto Maria Ruffini incarna alla perfezione la profezia sull’artista descritta da Kandinsky nel suo libro manifesto, scritto quasi un secolo fa, Lo spirituale nell’arte: “L’artista cercherà di suscitare sentimenti più delicati, senza nome. La sua vita complessa, relativamente aristocratica e le sue opere daranno allo spettatore sensibile emozioni sottili, inesprimibili a parole.”
Eleganti figure eteree in danza sono rappresentate con l’ausilio protagonista di un materiale al contrario grezzo e povero, terragno e concreto, che richiama alla memoria la massiccia solidità dell’albero quanto quella degli oggetti con esso realizzati che quotidianamente ci circondano. Un aspetto ulteriore della convivenza degli opposti: una simbiosi ottimistica realizzata attraverso queste forme vagamente accennate che, con il loro sfiorarsi appena, sottolineano e indicano le due facce di quell’inestricabile matassa che è la vita, nella sua costante contraddittorietà.
L’armonia ritrova la sua strada in questa antinomia, in mezzo agli interrogativi assillanti di una vita misteriosa che ci lascia perplessi, ma ci permette di afferrare la sua grandezza e la sua interezza quando riusciamo a lasciarci andare e farci trascinare dall’intuizione, quando abbandoniamo quella logica a cui siamo incatenati, per ritrovare, anche se solo accennato, il senso delle cose.
L’arte, come la vita, è poesia per pochi, per coloro in grado di ascoltare, capaci di incantarsi, essere rapiti dalla magia, da una creazione che non rappresenta la realtà, ma è la realtà stessa purificata da ogni contingenza, da tutte le scorie che la rendono imperfetta e impura.
E sogno un’Arte eterea
Che forse in cielo ha norma,
Franca dai rudi vincoli
Del metro e della forma,
Piena dell’Ideale
Che mi fa batter l’ale
E che seguir non so. 2
S.E.
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1. Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, ed SE, 2005
2. Arrigo Boito, “Dualismo”, ed. Garzanti, 1979
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